GIO EVAN, IL POETA DEI MILLENNIALS
- strateco
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Vive ai piedi del monte Subasio. Tra Gubbio e Perugia. No, non si nasconde. Sta semplicemente ricaricando le batterie per la prossima tournée. La prima tappa a Torino, il 20 aprile, al Magazzino del Po. Poi Roma, Napoli e Milano. Metropoli. Ma in una grande città non ci vivrebbe. «Sono straordinarie, veloci e intuitive, ma cuore e sguardo reggerebbero il tempo di un weekend» confessa Gio Evan, il poeta dei Millennials (e non solo), che ha iniziato a pensare, quindi a scrivere, quando era un ragazzino. L’età giusta per lasciare tutto e partire.
Un lunghissimo viaggio: dal 2007 al 2015, in giro per il mondo in sella ad una bici. «Con lei, sono salito e sceso dai treni dell’India, dell’Argentina e di gran parte d’Europa» ricorda. Le sue poesie contemporanee e itineranti sono diventate due libri pubblicati da Rizzoli: Capita a volte che ti penso sempre e l’ultimissimo, Ormai tra noi è tutto infinito.
Sì, i titoli possono far sorridere: perché il quasi 30enne Gio Evan (è il nome che gli diede, in Patagonia, un Hopi indiano) è un fine umorista, pronto alla battuta, e non ama prendersi troppo sul serio. Preferisce vivere «senza condizionamenti», restando se stesso: «Siamo esseri unici: non esiste dualismo». Forse per via di una storia privata che non c’è più, ma che gli ha donato un figlio. E poi, si sa, ai bambini bisogna parlare chiaro, «Così, ho messo un po’ da parte i giochi di parole».
Senza perdere i quasi 300 mila follower su Instagram pronti anche a sentirlo cantare. Il suo pubblico? «Di sicuro, sono persone mature, nell’animo, che amano la poesia, e ponendosi spesso domande sono alla ricerca di qualcosa. Curiosi. Come me». Alcuni non smettono di inviargli racconti che Gio, forse, non leggerà mai. «Diversi anni fa, ricordo di aver spedito un mio scritto a Stefano Benni, ma la cosa finì lì. Capita. Tutti, però, abbiamo bisogno di guide, anche la mia generazione».
Se 15 anni fa, c’era Federico Moccia a raccontare gioie e tormenti dei «tre metri sopra il cielo», oggi basterebbe esserne il cantore. Nel verso senso della parola. Eh sì, perché Gio ha appena inciso il suo primo doppio album, Biglietto di solo ritorno, con l’etichetta MArteLabel. Uscirà il prossimo 17 aprile. Poesie, libri, recital e ora anche cantautore? Il ragazzo con i capelli alla Caparezza (per uno strano caso, è nato, in viaggio, in un boschetto pugliese a due passi da Molfetta, città del cantautore rapper, nel corso di una vacanza di Pasqua dei suoi genitori) e la passione per Paolo Conte («coltivata quando vivevo in Francia»), non si definisce un cantante.
«E’ tutta “colpa” di Giuseppe Casa, direttore artistico di MarteLive, il quale un giorno ha riesumato dei miei vecchi pezzi, strazianti, con la chitarra, scritti quando vivevo in Sudamerica» dice ridendo, e aggiunge: «Per fortuna, ci hanno pensato gli Anudo, un trio di producer cuneesi, a dare al progetto un tocco magico. Perfettamente in tono con le mie poesie». Nove canzoni e dieci poesie, in cui non mancano gag o improvvisazione.
Tra le parole: treno e Bologna. «Il treno è il simbolo della mia vita, è un posto dove passo molto tempo. Bologna? Cercavo una città underground, che contenesse un dettaglio del tutto, che è Milano», risponde il “narrastorie”, il quale, dopo essersi immedesimato nei panni degli altri («ma forse per un po’ perdendomi») ritorna. «E pensare che, da piccolo, volevo essere Vinicio Capossela».
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